Nel secondo romanzo della collana, Tenebrae et Lux, i personaggi e le narrazioni del primo libro, ampiamente ripresi, si estendono in una dimensione introspettiva, temprata d’onirico, di leggenda e d’epopea, pur mantenendo, contemporaneamente, una connotazione forte, fisica, sanguigna e guerresca.

Si scoprono le memorie antiche dei personaggi e dei loro stessi luoghi. Il doloroso passato di Matilde con il padre, la relazione tra lei ed il sensuale, pacifico fioraio del surrealista, monumentale cimitero di Roma, la presenza di una sfuggente entità dall’abito talare esperta di morte e d’anima umana, l’incontro inquietante, melanconico, mistico e quasi metafisico tra la bellissima donna dagli occhi violetti e Mikhael, che nostalgicamente si concretizza in una ventosa giornata d’inverno, all’ombra algida delle antiche statue e delle cappelle del camposanto, sono ripercorsi attraverso lo sguardo angelico del custode di un castello. D’Adalgisa si contempla lo snodarsi di una storia di passione, di dolore e d’impotenza, la quale si intreccia, si sfila e si dipana lentamente scalfendo appena la trama della congregazione militare più antica di tutti i tempi. Il mito vince sulla morte nella Terra Eterna e nei suoi limitrofi, immortali suoli. L’umano sfuma in tratti d’animale quando s’innesta in un’eletta creatura femminile, dalla forgia particolare ed il destino volto a non conoscer dimenticanza oltre l’esaurimento della carnale spoglia. Di Saul di Tarso se ne percepisce ovunque l’ombra e la presenza.

Tre guardiani, proiezioni terrene di ancestrali dei e demoni inferei, custodiscono arcani segreti, storia, conoscenza e spirito, avvolgendo con il loro sconfinato e intangibile drappo oscuro l’intero romanzo nonché l’anima ed il cuore del lettore.